Dal 3 luglio in Italia e in tutta l’Unione Europea è vietata la vendita di prodotti in plastica usa e getta. Piatti, posate, bottigliette, cannucce e contenitori monouso, protagonisti di feste e pic-nic degli ultimi decenni, dovranno essere rimpiazzati con alternative sostenibili. Lo stesso vale per cotton fioc, palloncini, salviette umidificate e buste di plastica, che sono spariti dagli scaffali, fatta eccezione per le rimanenze di magazzino.

La Direttiva europea Sup del 2019 e le conseguenti linee guida di maggio 2021 hanno in realtà bandito anche oggetti in plastica compostabile e imballaggi in carta plastificata, ma il provvedimento è stato preso in riesame dopo le rimostranze del Governo italiano e di Confindustria. In ogni caso, si tratta di un passo fondamentale per la transizione ecologica, dato l’impatto della plastica sull’ambiente. Sono circa 8 milioni le tonnellate di rifiuti plastici che ogni anno si riversano nei mari, ma la prospettiva storica è ancora più indicativa. Secondo l’UNEP (UN Environment Programme) dagli anni ’50 abbiamo prodotto 8,3 miliardi di tonnellate di plastica, delle quali il 9% è stato riciclato, il 12% incenerito e il 79% disperso nell’ambiente, dove si trova tutt’ora dati i tempi di decomposizione.

Sarà perciò necessario agire su tre fronti contemporaneamente per abbandonare definitivamente la plastica monouso:

  • la conversione dei consumi e dunque della produzione, che oggi ammonta a 310 milioni di tonnellate annue;
  • il riciclo e il riuso;
  • la rimozione di quanto è già disperso nell’ambiente.

 

L’emergenza attuale

I prodotti in plastica usa e getta (SUPs, da “Single-use plastic products”), ovvero quelli utilizzati una sola volta o poco più prima di essere gettati, sono i primi responsabili dell’inquinamento idrico. Insieme agli attrezzi da pesca, anch’essi spesso in plastica, costituiscono infatti il 70-80% dei rifiuti presenti oggi nei mari e negli oceani di tutto il mondo. Il fatto che 5 paesi (Cina, con 3,5 milioni di tonnellate l’anno, Filippine, Indonesia, Vietnam e Thailandia) contribuiscano al 60% delle immissioni in mare di oggetti di plastica, non tutela le altre nazioni. Le correnti li possono trasferire e accumulare anche molto lontano dalla loro zona di origine, rendendo necessari un approccio comune al problema e strategie condivise globalmente.

Oggi esistono diverse “isole di rifiuti” di dimensioni considerevoli, composte principalmente da plastica. La più grande, la “Great Pacific Garbage Patch”, si trova tra California e Hawaii e occupa una superficie grande tre volte la Francia. Quando non finisce in mare aperto, però, la plastica si accumula sulle spiagge, sulle coste e nei golfi naturali, creando enormi danni anche ai settori turistico e ittico.

Sono già noti gli effetti dell’inquinamento ambientale sugli animali. Gli oggetti e i frammenti più grossi rischiano di intrappolarli, soffocarli e ferirli, mentre le microplastiche, ingerite per sbaglio, possono avvelenarli. Sono già oltre 270 le specie marine che ne presentano negli stomaci e tra queste c’è anche l’uomo, che rischia di ingerirne soprattutto nutrendosi di molluschi e crostacei, di cui si consuma anche il tratto digerente.

Infine, la plastica è prodotta al 99% a partire da petrolio, gas naturale e carbone, risorse non rinnovabili, e ha un ciclo di vita che contribuisce al cambiamento climatico anche a causa dell’elevata produzione di CO2. Solo le bottiglie di plastica disperse in natura ne producono 850.000 tonnellate. La proliferazione di microplastiche negli oceani, inoltre, ne riduce la capacità di assorbire carbonio, impedendo loro di auto-depurarsi.

 

Le alternative alla plastica monouso

Adattarsi a una vita senza oggetti di plastica monouso non è poi così difficile, ma prevede un cambio radicale del nostro comportamento di consumatori. Le alternative biodegradabili e compostabili esistono già in commercio e sono poco costose. Un settore promettente è quello delle bioplastiche, prodotte a partire da materiali naturali come gli scarti alimentari. Ma la vera soluzione alla dispersione nell’ambiente di grandi quantità di rifiuti deve essere più drastica e accordarsi ai principi dell’economia circolare. In altre parole, sarà necessario abbandonare progressivamente la mentalità “usa e getta” per affidarsi a prodotti riutilizzabili, comprando meno e meglio.

Intanto, l’UE si impegna anche nella limitazione della diffusione degli altri oggetti di plastica, grazie a campagne di sensibilizzazione, alla ricerca di materiali sostenibili e nuovi modelli di business e agli obblighi imposti ai produttori (gestione e bonifica di rifiuti, etichettatura chiara e standardizzata, sensibilizzazione per determinati prodotti sul loro contenuto di plastica). Sarà, inoltre, particolarmente importante informare i consumatori sulle opzioni di smaltimento e sui danni conseguenti alla dispersione di plastica nell’ambiente. L’inquinamento da plastica, infatti, ha una correlazione dimostrata e ben visibile con le abitudini quotidiane di tutti. Ciò significa che non è possibile delegare ad altri la responsabilità di cambiare le cose, come troppo spesso si è fatto in passato e si continua a fare.

 

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