Il nostro pianeta non è più in grado di accogliere, senza subire danni, la quantità di sostanze artificiali che disperdiamo quotidianamente nell’ambiente. E ne disperdiamo talmente tante, tra plastiche e prodotti chimici, che è diventato impossibile persino monitorarle. Cosa sta facendo l’Europa in proposito? E quali sono i rischi per la nostra salute?

 

A che punto siamo arrivati?

Nel 2009 gli scienziati dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) avevano definito diversi punti di non ritorno, superati i quali il clima ne avrebbe risentito in modo irreversibile, influenzando gli ecosistemi terrestri e la vita dell’uomo. Ad oggi sono 9 i tipping point che abbiamo già raggiunto, ovvero gli elementi terrestri irrimediabilmente intaccati: il ghiaccio marino dell’Artide, la calotta glaciale groenlandese, le foreste boreali, il permafrost, la lastra di ghiaccio antartica occidentale e in parte l’Antartide orientale, l’AMOC (capovolgimento della circolazione atlantica), la Foresta Amazzonica e i coralli di acqua calda.

A questi è stato recentemente aggiunto il tipping point delle “nuove entità”, che allora non erano state quantificate. Si tratta proprio delle sostanze artificiali, per le quali oggi ci troviamo “Al di fuori dello spazio operativo sicuro entro il limite planetario” come recita il titolo dello studio in materia, pubblicato su Environmental Science and Technology. Il problema centrale è perciò l’annullamento della capacità del pianeta di assorbire la produzione e le emissioni delle nuove entità, cioè di plastica, pesticidi, farmaci e prodotti chimici di ogni genere, per un totale di 350mila sostanze totali.

La plastica è naturalmente l’osservata speciale, dato che contiene da sola oltre 10mila sostanze chimiche diverse e dati i numeri della sua produzione e conseguente dispersione. Una quantità talmente elevata che costituisce più del doppio della massa dei mammiferi che popolano la terra e il cui peso potrebbe superare quello di tutti i pesci entro la metà del secolo. Ma quando misuriamo i suoi danni dobbiamo tenere conto anche di quelli connessi alla sua produzione, dati dall’impiego di combustibili fossili. Se fosse una nazione, infatti, la plastica figurerebbe al quinto posto al mondo per emissioni. Cosa sta facendo l’Europa per contrastarne gli effetti?

 

Le direttive europee su plastica e sostanze chimiche

Se l’emergenza è globale, le soluzioni nazionali non bastano ad affrontarla: serve più coordinazione. L’Europa sta cercando di arginare il problema aggiornando i suoi standard ed emettendo direttive sempre più severe. Ma la realtà dei fatti, almeno secondo l’EIA (Environment Investigation Agency), è che la plastica andrebbe interamente bandita per salvaguardare realmente il pianeta. Relativamente alle sostanze chimiche, invece, siamo ancora lontani da una loro reale mappatura e sostituzione con alternative sostenibili.

 

La Direttiva SUP

Per quanto riguarda la plastica, il 14 gennaio scorso sono entrate in vigore in Italia le norme relative all’applicazione della Direttiva SUP (Single-Use Plastics). Quest’ultima e il Decreto Legislativo che ne consegue vietano di vendere cotton fioc, posate, piatti, cannucce, agitatori per bevande, aste per palloncini in plastica (anche biodegradabile) e contenitori per alimenti o per bevande in polistirene espanso. L’unica deroga è per la vendita di scorte immesse sul mercato prima dell’entrata in vigore del Dlgs.

Ci sono però due novità che il Dlgs introduce rispetto alla Direttiva SUP. Da un lato, esclude esplicitamente dalla definizione di “plastica monouso” i polimeri naturali non modificati chimicamente (cellulosa, lignina, amido di mais), che in ogni caso la Direttiva concede di utilizzare. E dall’altro introduce un obiettivo di riduzione entro il 2026 per tutti i prodotti di plastica monouso non menzionati dalla Direttiva, tra i quali anche i bicchieri. Per raggiungerlo, il MITE dovrà stipulare accordi con imprese, associazioni ed enti pubblici, ma anche sensibilizzare i cittadini sul tema, invitandoli a preferire alternative riutilizzabili.

Non da ultimo, il Dlgs introduce nuove etichette che siano più trasparenti verso i consumatori rispetto alla modalità di gestione di alcune tipologie di rifiuti plastici, tra i quali assorbenti e tamponi, salviette umidificate e filtri per tabacco. Le multe per chi non rispettasse le norme vanno da un minimo di 2500 euro a un massimo di 25 mila. Ma c’è già chi sta cercando di aggirare la legge iniziando a commerciare prodotti riutilizzabili per un numero molto limitato di volte, «un modo, a nostro avviso, per aggirare il bando e che porta ad un incremento dell’utilizzo di plastica piuttosto che ad una sua diminuzione», dichiara Stefano Ciafani, presidente di Legambiente.

 

La Strategia sulle le sostanze chimiche

E tutto il resto delle “nuove entità” che danneggiano gli ecosistemi e la salute delle persone che fine farà? La Strategia sulle sostanze chimiche per la sostenibilità, pubblicata a ottobre 2020, mira a controllarle maggiormente, per contribuire anche da questo punto di vista a raggiungere l’obiettivo dell’azzeramento dell’inquinamento fissato dal Green Deal. La riforma precedente, su questo fronte, è il REACH del 2007, che mirava a registrare, valutare, autorizzare e restringere l’utilizzo di sostanze chimiche. Ma la Strategia vuole intensificare e rendere più precise queste pratiche, per esempio tenendo per la prima volta conto dei loro effetti combinati e non solo della pericolosità delle singole sostanze.

Nel 2018 ne sono state prodotte 222,6 milioni di tonnellate, molte delle quali dannose per l’ambiente e la salute, tanto da favorire la moria di animali o l’insorgere di malattie cardiovascolari o tumorali negli esseri umani. E si prevede addirittura un raddoppio della produzione entro il 2030. Data la gravita della situazione, secondo l’EEB (European Environmental Bureau), che raggruppa 143 organizzazioni ambientaliste da 30 paesi, la Strategia, pur segnando un passo avanti nella lotta agli inquinanti chimici, lascia ancora troppi punti di domanda. Per esempio, l’indefinitezza dei rapporti con le lobby della chimica, che puntano da sempre a rallentare i processi decisionali. Oppure la tutela dei lavoratori del settore, che non sono nemmeno menzionati.

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