Se c’è una cosa che la pandemia ci ha insegnato è che non possiamo più fare a meno del digitale. Non solo per lo smart working, l’informazione o l’intrattenimento, ma come acceleratore di uno sviluppo economico sostenibile e come semplificatore della vita quotidiana delle persone. È l’era della transizione digitale e dobbiamo essere in grado di accoglierla e di assecondarla in ogni modo.

Per l’Unione Europea la digitalizzazione è una priorità assoluta, tanto da aver definito “Decennio Digitale” quello appena iniziato. Gli obiettivi in merito sono contenuti nel Digital Compass 2030, la bussola di orientamento della digital transformation, che prevede che almeno il 20% dei fondi Next Generation EU erogati a favore delle nazioni venga speso in questo campo.

L’Italia ne spenderà precisamente il 21%, cioè 40,49 miliardi, previsti dal PNRR per la prima missione (“Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura”), cui se ne aggiungono altri 8,74 del fondo complementare. Di questi circa 50 miliardi di euro, 9,75 sono destinati a “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella Pubblica Amministrazione” e 23,89 a “Digitalizzazione, innovazione e competitività nel sistema produttivo”. Ma la strategia del governo per la digitalizzazione è in realtà trasversale e viene affrontata anche in altre specifiche missioni nel PNRR, tra Ricerca, Sanità e Istruzione.

Ma cosa significa esattamente digitalizzare un paese? E a che punto è l’Italia?

 

Competenze, digital divide e infrastrutture

Perché la digitalizzazione possa dare i suoi frutti nel pubblico e nel privato, bisogna preparare il terreno. Ciò significa lavorare da una parte sulle competenze delle persone e dall’altra sulle infrastrutture di rete.

L’Italia ad oggi è tra i paesi europei con il più basso livello di competenze informatiche, sia di base che avanzate, non solo nel settore pubblico, come saremmo portati a immaginare. C’è inoltre una grande disuguaglianza – la cosiddetta “digital divide” – nella distribuzione di queste competenze tra regioni, fasce della popolazione e gruppi sociali. Una situazione che, dato il potere “disruptive” del digitale, potrebbe allargare ulteriormente il gap di sviluppo e di distribuzione della ricchezza. Ma anche la connettività rappresenta un fattore chiave per la diffusione del digitale e anche su questo fronte l’Italia è tra i fanalini di coda, con una penetrazione della fibra ottica del 5,9%, almeno secondo il 2021 Market Panorama di FTTH Council Europe.

Il Digital Compass, a tal proposito, inserisce tra i suoi punti cardinali sia le competenze che le infrastrutture di rete. Rispetto alle prime, l’Europa spinge verso una riconversione professionale, che porti a 20 milioni il numero di specialisti del settore TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) entro il 2030. L’80% della popolazione dovrà invece possedere conoscenze di base. Due incrementi notevoli rispetto alla situazione odierna, che vede 9 milioni di specialisti e solo il 30% della popolazione con competenze di base (dati del DESI 2021). Rispetto alle infrastrutture, l’obiettivo è di diffondere ovunque, sia in aree rurali che urbane, la fibra ottica FTTH (Fiber to the Home) o FTTB (Fiber to the Building) a 1 Gbps. Ma anche di aumentare la produzione di semiconduttori all’avanguardia, di creare 10mila nodi periferici sicuri e sostenibili e di sviluppare il primo computer con accelerazione quantistica.

 

Pubblica amministrazione e servizi pubblici

I fondi destinati dal PNRR all’innovazione digitale della macchina dello stato serviranno in gran parte a rafforzare le sue infrastrutture, a favorire la migrazione in Cloud dei dati, ma anche ad aumentare il ventaglio di servizi offerti online ai cittadini. Una delle priorità è la creazione del PSN, un Polo Strategico Nazionale che costituisca la base informativa per le applicazioni delle PA, per garantire sicurezza e privacy nella custodia e gestione dei dati e interoperatività. Sul fronte della condivisione dei dati tra PA, un punto dolente del sistema italiano, si prevede invece lo sviluppo del circuito ANPR, L’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente.

Rispetto ai servizi pubblici, invece, secondo il Digital Compass entro il 2030 dovranno essere interamente erogati online. In particolare, almeno l’80% dei cittadini dovrà utilizzare l’ID digitale e tutti dovranno avere accesso alla loro cartella clinica online. All’argomento il PNRR dedica attenzioni specifiche, fissando il target dell’80% dei servizi essenziali offerti online entro il 2026 e prevedendo di implementare le piattaforme necessaria alla loro erogazione (pagoPA, IO, SPID, CIE).

 

La transizione digitale delle imprese

La Transizione 4.0, ovvero la digitalizzazione delle imprese, è incentivata da un apposito Bonus del MITE ed è una componente chiave dello sviluppo sostenibile. Ad oggi meno del 40% delle aziende italiane utilizza il Cloud, meno del 20% l’Intelligenza artificiale e meno del 10% utilizza i Big Data, con un’arretratezza dimostrata soprattutto dalle PMI. Per tornare alle competenze, ma in ambito aziendale, inoltre, solo il 15% delle aziende prevede corsi di formazione sulle tecnologie TIC.

Per le imprese la digitalizzazione è indispensabile da ogni punto di vista: per mantenere alta la competitività, per rendere più efficiente il lavoro, ma anche per orientare lo sviluppo economico del paese verso la sostenibilità, che alla digitalizzazione è intimamente legata. A tali scopi, si prevede nei prossimi anni una forte crescita negli investimenti per il marketing online, i social media e gli e-commerce, ma anche software gestionali per ottimizzare le attività, tra contabilità, logistica e produzione. Senza contare la formazione, destinata alle nuove generazioni perché possano inserirsi più facilmente in un mondo del lavoro più digitalizzato e ai lavoratori per consentire loro di saper gestire le nuove tecnologie.

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